martedì 31 luglio 2007

Rionero Sannitico... sarà davvero il "mio paese"?

È una giornata uggiosa per essere il 31 di Luglio... ogni volta che “torno a casa” è come se il tempo si fermasse, come se il ticchettio fosse controllabile, lontano dalla frenesia quotidiana, da corse inutili o forse necessarie.
Il dinamismo sembra non aver ancora toccato queste terre incontaminte non solo dal traffico, dallo smog, ma anche dal'industrializzazione, dall'arrivismo, da quella voglia di apparire che circonda ormai gran parte del globo... eppure non siamo ancora un'isola felice...
Certo è che il caffè è proprio una manna mandata giù dal cielo. Speranzoso che potesse rivegliare un po' l'animo mio, nel sorseggiarlo è anche uscito uno timido sole che ha reclamato la sua presenza, allora forza e coraggio, sembra che la giornata volga a punto.
Normalmente so di cosa scrivere, anche oggi il tema da affrontare è chiaro in mente, ma poco nelle parole. Tanto è importante, quanto delicato, allora è giusto tardare un po' per schiarirsi meglio le idee.
Il sole va e viene, come il lessico mio che presenta lampi di lucidità in mezzo a mille altri pensieri.

Domenica si è trascorsa la festa dell'emigrante, giornata importante quanto essenziale nella chiave di lettura di un paese fatto di grandi esodi appena dopo le Guerre. Ho avuto il piacere di conoscere due argentini, di cui uno avea origini Rioneresi, addirittura da tre generazioni addietro, la moglie semplice compagna di vita, ma di animo sì dolce da far proprie le emozioni del marito, esternandole ancor prima che egli ne avesse avuta l'occasione.
Incontro piacevole, certo, ma che lascia un segno, haimè amaro.
Ancora una volta, è palese il fatto che siano i “vecchi” compaesani a tenere maggiormente alle proprie origini rispetto a noi che abitiamo queste terre quotidianamente.
E l'osservazione è a ragion veduta dato che la serata del Sabato sera, preambolo della “grande festa”, era scarna di partecipazione, nonché priva di un reale entusiasmo.
L'indomani la funzione eucaristica era altrettanto magra, il pomeriggio trascorso con poche anime, solo la serata segnata da un massiccio coinvolgimento.
Come non poterlo ricollegare anche allo scarso coinvolgimento che si ha per il giornale “La Voce di Rionero”; critiche, suggerimenti, considerazioni più o meno piacevoli sono oggetto di riflessioni.
Un famoso detto dice pressappoco di tenere a mente le lodi, ma ancor più strette le critiche; ripenso a ciò che mi hanno fatto notare un paio di amici miei nel segnalarmi che, il periodico, è fatto di notizie nazionali, scarno se non privo di eventi locali.
I motivi principalmente sono due: l'assenza di reali avvenimenti e l'impossibilità del poter trattare problematiche paesane nel non cadere nella “trappola” politica.
Perchè qui, nelle mie terre, la poltica è ancora vista come qualcosa a cui il popolo e soggetto, non come mezzo del popolo per il popolo, concetto assai diverso se non opposto.
Di argomenti ce ne sarebbero e dei più disparati, tanto da poterci scrivere un libro.
Tanto per cominciare l'oggettiva considerazione del fatto che, nel 2007, ancora non si riesce a risolvere il problema dell'erogazione idrica nei periodi estivi – invernali, accompagnato dalla perenne campagna di disinformazione circa la durata del guasto, mancando di regolari comunicazioni di servizio che avvengono in tutti gli altri paesi d'Italia e di buon senso civico nel segnalare l'interruzione dell'erogazione del servizio.
Altro tasto, per me dolente, è la costruzione di casermoni popolari, risoluzione di un problema assai antico quanto sconcertante, le famose “casette”. Peccato che, non ancora consegnate, le case presentassero già vistose crepe nell'intonaco, nonché predite d'acqua dal tetto; ci sarebbe da chiedersi del perchè.
Un altro mio amico mi ha fatto notare che non è necessario andare sino a Napoli per vedere la spazzatura che dilaga nel paese (articolo scritto su “La Voce di Rionero” n° 21), ma basta recarsi sotto alla discarica per constatare quale degrado ci sia.
Per non parlare del famigerato Metano che, anziché darci una mano, ci sta tagliando le braccia per le spese sostenute dalle amministrazioni circa gare d'appalti e che dir si voglia.
Vogliamo andare oltre? Di cosa dobbiamo parlare se tutte queste problematiche non servono a mò di “denuncia” dato che tutti i miei cari compaesani ne sono già al corrente, e sicuramente meglio di me, ma restano attoniti nel non dire niente, o al massimo, parlarne a bassa voce?
Di cosa dobbiamo discutere se simili accadimenti non risvegliano una coscienza comune “per il paese”?
Che altro si può fare se non sussiste un risveglio dell'animo collettivo che faccia capire che il Paese è del popolo, e non delle passeggere amministrazioni comunali che si susseguiranno da qui in futuro?
A essere sincero, da qui a duemila anni addietro, nulla è cambiato. C'è sempre (e ci sarà sempre) un qualcuno che scaglierà la prima pietra, ma che inevitabilmente ritrarrà il braccio per non essere incolpato.

venerdì 27 luglio 2007

Quanto mi sta scadendo l'ACER...

Non sono a conoscenza delle politiche aziendali adottate da altre case produttrici di laptop, ma vi posso assicurare che l'Acer mi è scaduta a livello inverosimile... ma procediamo per gradi.

Ho acquistato un Acer Aspire 5672WLMi, pagato 1200 e rotti euro nel giugno del 2006... non l'avessi mai fatto, da allora sono nati i miei problemi!

Tanto per cominciare, tempo fa comprai una colonnina di dvd-r su internet, relativamente di marca (Verbatim) per ovvi motivi di risparmio economico.
Tutto felice per l'acquisto, provai a masterizzare qualcosa, ma con sorpresa il mio masterizzatore non leggeva nessun tipo di supporto. Bene, saranno dei supporti scadenti... li testo sul masterizzatore di casa e non li legge neppure lui. Poco male, ho sprecato una decina di euro... e invece no!
Provando prima a fare vari test con diversi programmi di masterizzazione quali Nero, Roxio, Alcohol, Nti (quello che esce di default con il portatile, tanto per intenderci...) il problema non veniva risolto.
Poco importa, sono un tipo testardo, spulcio su internet un aggiornamento del firmware per i miei masterizzatori (il firmware, per essere chiaro, è il cuore di un masterizzatore) e riesco a trovarne uno per BenQ, il dvd del fisso e magicamente i miei dvd vengono riconosciuti, letti, scritti, a velocità magnifiche senza mai bruciarne alcuno.
Medesimo ragionamento per il portatile... cerco e ricerco su Internet, ma niente da fare... sembra che il Matshita Uj-845S non esista.
Inizio a preoccuparmi, anche su siti attendibili non riesco a venirne a capo... poi magicamente un post mi segnala che esiste un sito della panasonic japponese se non erro che rilascia tali firmware.
Contentissimo lo cerco... eccolo, trovato! Ma cosa succede? Il prodotto è etichettato come OEM, vale a dire che è un supporto dove loro, i produttori, non rilasciano aggiornamenti ma devono essere le case che lo adottano per assemblare i proprio portatili che si adoperano in tal senso.
Perfetto, per essere sicuri gli mando un'email e mi rispondono negativamente, come è ovvio che fosse, dicendomi che devo rivolgermi all'Acer.
Oki, non demordo... chiamo l'Acer (ormai mi conoscono dato che gli ho segnalato un baco nel loro sistema di crittografia dei dati...) e cosa mi rispondono? No, mi spiace, non aggiorniamo firmware... Ah, BENE! E quando avevate intenzione di dirmelo? Come se voi compraste un navigatore satellitare, scusate se 1200 euro sono pochi per voi, e loro vi dicessero, solo "dopo" averlo acquistato, che le mappe non si possono aggiornare, quindi se "qualcuno" ha intenzione di modificare il senso di una via (renderlo a senso unico anzichè a doppio senso di marcia) voi rimanete fregati a vita perchè "loro" non perdono tempo nel modificare lo stradario... bello vero? Simile discorso è applicabile per i dvd. Il mondo Hi-Tech è in continua evoluzione, ormai la frase "appena compri qualcosa dal negozio, varchi la soglia, ed è già vecchia" è di uso comune, e loro anzichè garantirmi come di dovere un servizio per il quale pago, mi dicono che di fatto rimango tagliato fuori perchè, cosa vuoi farci, non lo aggiorneranno mai... bene, e io come farò a masterizzare con i futuri dvd?
Va beh dai... deluso come pochi mi rivolgo all'Acer americana che, sebbene mi dicono la stessa cosa, almeno mi rispondono con maggior chiarezza ed educazione...
Probabilmente in un futuro (quando finirò di pagare il mio bel portatile da 1200 euro) comprerò un masterizzatore esterno... ma vi sembra mai ragionevole?

Altro giorno, altro problema.

Il mio portatile monta un'Ati Mbility X1400, con 512 Mb... un bestiolina a mio avviso...
La casa produttrice rilascia un nuovo Catalyst, il software di gestione per capirci, allora contentissimo (perchè ultimamente stavo avendo non pochi problemi con diversi applicativi) vado sul sito per cercare di scaricare il prodotto... ma cosa leggo? Attenzione, siamo spiacenti ma l'aggiornamento per il suo portatile non si può installare, la preghiamo di mettervi in contatto con il vostro produttore! COOOSA? Ancora??? Non ci posso credere, l'Acer mi sta perseguitando, non ho altre spiegazioni.
Bene, poco male, vado sul sito dell'Acer e per un prodotto così importante come un Catalyst avrenno aggiornato i driver... PURA UTOPIA!
Non solo non ne parlano, non solo non dicono se, come, quando uscirà, ma semplicemente lo ignorano! Capisco un firmware (cosa vuoi farci, bisogna anche capire i limiti di certe persone...) ma la scheda video ormai è patrimonio di tutti... come si fa a non rilasciarne un aggiornamento?
Sapete come ho risolto il problema? Ancora una volta grazie a Internet, con siti di smanettoni che cercano, riprovano, ritestano prodotti e costruiscono ad-hoc le soluzione per far riconoscere al computer qualcosa che "loro", per motivi commerciali, non vogliono farti riconoscere...
Ho solo una cosa da dire a tutti questi signori... vi dovreste solo vergognare!
Io sono un ragazzo che ha iniziato ad usare il pc all'età di 11 anni, so muovermi bene su internet, studio ing. informatica, ma quanti come me sono a conoscienza di scorciatoie, percorsi alternativi, by-pass di sistema? pochi, decisamente pochi... come sempre, io perdo tempo per risolvere problemi che non ho causato io per il semplice motivo che qualcun'altro non fa il suo dovere! guardate... ho il sangue avvelenato. Se è questa la politica dell'Acer, spero proprio che fallisca nel più breve tempo possibile!

domenica 15 luglio 2007

Financial Times: naked ambition

Questo è il titolo offerto in prima pagina dal Financial Times che ha toccato un tasto dolente per il mondo pubblicitario italiano: la nudità come ambizione.
Da una recente statistica, infatti, si evince come le ragazze italiane (campione fatto su trentenni) siano attratte dal mondo pubblicitario, dalle sfilate in tv, dall'apparire piuttosto che dall'essere.
Adrian Michaels (inglese trasferitosi a Milano) descrive così la situazione del "bel paese": 'Davvero gli italiani, ed in particolare le italiane, ritengono accettabile "vendere" quiz trasmessi in prima serata stimolando i genitali maschili invece del cervello?'
E come dargli torto... sono anni che nelle case degli italiani ci si lamenta di un simile "imbroglio", dove il maggior share è dettato non dal miglior programma, bensì dalla migliore vetrina femminile proposta ai telespettatori, ma nessuno fa niente.
E nessuno fa niente proprio perchè, in realtà, agli italiani piace un simile spettacolo, altrimenti la gente cambierebbe canale senza rifletterci troppo su.
Nessuno fa niente perchè, dopo essersi lamentati per decenni sulla "tv spazzatura", quando va in onda un Funari che per quanto possa piacere o meno denuncia situazioni gravi che accadono in tutto il mondo, nella speranza che nel cuore degli italiani nasca un luccichio di coscienza, il popolo decide che "quel tipo di televisione" non fa per lui e lo fa in un modo molto semplice... cambia semplicemente canale, e il programma cambia veste, non si affrontano più determinate tematiche.
Nessuno fa niente perchè i programmi più seguiti sono i "reality show", dove di reale non c'è proprio nulla: sono semplicemente dei gladiatori che si ammazzano a vicenda per perseguire lo scopo di arricchirsi, nulla è cambiato dai tempi dei romani, solo che lì lo si faceva per mestiere o per conquistarsi la Libertà.
La verità, tuttavia, credo che sia un'altra.
Troppo comodo dare la colpa ai manager aziendali che propongono simili frivolezze (non fanno altro che svolgere al meglio il loro lavoro: più audience -> maggior profitto), troppo comodo accusare il telespettatore che si siede sulla sua poltrona e segue certe trasmissioni... la verità è che l'italiano, quando torna a casa, è stanco per la giornata di lavoro. La verità è che l'italiano, dopo aver faticato 7 camicie, vuole solo poter "spegnere" il cervello e rilassarsi guardando anche simili spazzature. La verità è che noi tutti preferiamo seguire un film a lieto fine perchè la vita presenta così tanti problemi che non abbiamo voglia di sobbarcarcne di altri che richiederebbero forse maggior impegno.
Il mondo reale è pieno di problemi, il mondo dello spettacolo mostra una sorta di realtà parallela dove tutto è perfetto, non è necessario conseguire particolari studi o "essere qualcuno" per guadagnare fior fiori di quattrini, avere una compagna praticamente perfetta e avere una vita altrettanto magica, peccato che questa sia solo una vetrina, una facciata che pochi spulciano realmente, l'inganno prevale sulla verità.
Cos'altro dovrebbe evidenziare una statistica del mondo giovanile se non proprio la scelta più facile? Il giovane vede due possibile strade: quella dal guadagno facile, segnata dal successo, dal riconoscimento del grande pubblico, un'altra marcata dall'anonimato, dove bisogna sudare per potersi guadagnare il pane quotidiano... voi cosa scegliereste?
Peccato che sia tutto frutto di una grande finzione, forse andrebbe spiegato questo ai nostri adolescenti... forse prima di criticare un qualcosa, la gente dovrebbe riflettere sulle cause da cui è scaturita, non solo sulle conseguenze che questa comporta.

lunedì 9 luglio 2007

In rif. a "Il bisogno di riconoscimento non è vanità"

"Quanto è bello" trovare gente che la pensa come te, che ha raggiunto determinati obbiettivi e scrive su importanti testate giornalistiche.
La persona in questione è Francesco Alberoni e l'articolo al quale mi riferisco è il seguente:

Il bisogno di riconoscimento non è vanità

Noi non possiamo darci valore da soli. Ce lo danno gli altri fin da bambini amandoci, apprezzandoci, dicendoci bravo. In realtà non possiamo dare valore a nulla perché sono gli altri che, con il loro comportamento o le loro parole, ci dicono cosa è buono o cattivo, cosa è desiderabile[...]


(clicca sull'articolo per visualizzarlo interamente)

I miei complimentoni...

mercoledì 4 luglio 2007

Ma l'Italia esiste?

Oggi mi sento particolarmente critico, sarà la stanchezza che mette in risalto le cose che non vanno ...
Come pagina iniziale del browser ho iGoogle e ,tra i vari plug-in, ho inserito anche le immagini messe a disposizione dalla NASA aggiornate giornalmente; oggi hanno pubblicato questa


Impossibile non notarla, impossibile non guardare quei colori, quelle strisce, le persone che applaudono... ora, dell'America si potrà dire di tutto di più, ma certamente non che non sia patriottica.
Allora mi viene una domanda: ma l'Italia? Fatta eccezione per le frecce tricolori che esaltano la nostra bandiera, dov'è finito il nostro patriottismo?
Quanti di voi hanno una bandiera del nostro tricolore? Quante persone riflettono sui significati di quei colori? Quanti la amano?
La legge dice che bruciare una bandiera, o cmq recare offesa ad essa, è perseguibile; eppure nel mio paese sono tre lunghi anni che la scuola superiore tiene sventolanti due stracci con neppure tutti e tre i colori, pensate che le intemperie l'hanno recisa all'altezza del bianco.
Fatto presente ai carabinieri mi hanno risposto: si, ma cosa vuoi farci!
Fatto presente al vicesindaco ha passato la palla avvelenata al direttore scolastico.
Dato che quest'ultimo non è mai presente, l'ho detto ai due bidelli, ad una mia ex professoressa, e tutti e tre allegramente si sono fatti una grassa risata...

Bella l'Italia, i miei complimentoni! Ma siamo seri... dove vogliamo andare in queste condizioni?

domenica 1 luglio 2007

La rabbia, l'orgoglio, e il dubbio

Sebbene siano passati ormai 4 anni dalla pubblicazione di questo articolo, ho ritrovato le pagine di questo giornale tra appunti sparsi di studio e ho deciso di postarlo (sebbene sia probabilmente coperto da copyright) affinchè non si dimentichino stati d'animo e vecchie opinioni avendo oggi un quadro più generale sul quale poter riflettere.

La rabbia, l'orgoglio, e il dubbio

Guerra in Iraq: «E il mio dilemma rimane. Tormentoso, assillante»

di
Oriana Fallaci

(Corriere della Sera, 15 marzo 2003)


Per evitare il dilemma, risparmiarmi la dolorosa domanda «questa-guerra-deve-essere-fatta-o-no», per superare le riserve e le riluttanze e i dubbi che ancora mi straziano, spesso dico a me stessa: «Ah, se gli iracheni si liberassero da soli di Saddam Hussein! Ah, se qualche Ahmed o Abdul lo liquidasse e lo appendesse pei piedi in qualche piazza come nel 1945 gli italiani fecero con Mussolini!». Ma non serve. O serve in un senso e basta.

Nel 1945, infatti, gli italiani si liberarono di Mussolini perché gli Alleati avevano occupato tre quarti dell'Italia. Quindi reso possibile l'insurrezione del Nord. In parole diverse, perché la guerra l'avevano fatta. Una guerra senza la quale Mussolini ce lo saremmo tenuti vita natural durante. (Hitler, lo stesso). Una guerra durante la quale gli Alleati ci avevano bombardato senza pietà ed eravamo morti come le mosche. Loro, idem. A Salerno, ad Anzio, a Cassino. Nell'avanzata verso Firenze, sulla Linea Gotica. La tremenda Linea Gotica che i tedeschi avevano opposto dal Tirreno all'Adriatico.

In meno di due anni, 45.806 morti americani e 17.500 tra inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani, indiani, brasiliani, polacchi. Nonché francesi che avevano scelto De Gaulle e italiani che avevano scelto la Quinta o l'Ottava Armata. (Sai quanti cimiteri di militari alleati ci sono in Italia? Oltre centotrenta. E i più grossi, i più affollati, sono proprio quelli americani. Soltanto a Nettuno, 10.950 tombe. Soltanto a Falciani, presso Firenze, 5.811... Ogni volta che ci passo davanti e vedo quel lago di croci, rabbrividisco di dolore e di gratitudine).

C'era anche un Fronte di Liberazione Nazionale, in Italia. Una Resistenza che gli Alleati rifornivano di armi e di munizioni. Poiché malgrado la tenera età mi occupavo della faccenda, ricordo perfettamente il Dakota che sfidando la contraerea ce le paracadutava in Toscana. Per l'esattezza, sul Monte Giovi dove per farci localizzare accendevamo i fuochi e dove una notte paracadutarono anche un commando che aveva il compito di allestire una radio clandestina detta Radio Cora. Dieci simpaticissimi americani che parlavano ottimo italiano. E che tre mesi dopo furono catturati dalle SS, torturati in modo selvaggio, fucilati insieme alla partigiana Anna Maria Enriquez-Agnoletti. Così il dilemma rimane. Tormentoso, assillante.

Rimane per i motivi che mi accingo ad esporre. E il primo motivo è che, contrariamente ai pacifisti che non berciano mai contro Saddam Hussein o Bin Laden e se la pigliano solo con Bush o con Blair, (ma nel corteo di Roma se la son presa pure con me, a quanto pare augurandomi di scoppiare in mille pezzi col prossimo shuttle), la guerra io la conosco. So bene che cosa significa vivere nel terrore, correre sotto le cannonate o le bombe da mille chili, veder morire la gente ed esplodere le case, crepare di fame, non aver nemmeno l'acqua da bere. E, peggio ancora, sentirsi responsabile per la morte di un altro essere umano. (Anche se quell'essere umano è un nemico, ad esempio un fascista o un soldato tedesco). Lo so perché appartengo, appunto, alla generazione della Seconda Guerra Mondiale. E perché gran parte della mia vita sono stata corrispondente di guerra. Non uno di quelli che stanno in albergo: uno di quelli che al fronte ci vanno davvero.

Ergo, dal Vietnam in poi ho visto orrori che chi conosce la guerra soltanto attraverso la TV o i film dove il sangue è salsa di pomodoro non immagina nemmeno. E la guerra la odio quanto i pacifisti in buona o cattiva fede non la odieranno mai. La odio tanto che ogni mio libro trabocca di quell'odio. La odio tanto che perfino i fucili da caccia mi danno fastidio e lo stupido schioppettare dei cacciatori estivi mi fa salire il sangue al cervello. Però non accetto il fariseo principio anzi slogan di coloro che dicono: «Tutte le guerre sono ingiuste, tutte le guerre sono illegittime». La guerra contro Hitler e Mussolini era una guerra giusta, perbacco. Una guerra legittima. Anzi, doverosa. Le guerre risorgimentali che i miei nonni fecero nell'Ottocento per cacciare lo straniero invasore erano guerre giuste, perbacco. Guerre legittime. Anzi, doverose. E la Guerra d'Indipendenza che i coloni americani fecero contro l'Inghilterra, lo stesso. Le guerre (o le rivoluzioni) che avvengono per ritrovare la dignità, la libertà, idem. Io non credo nelle disinvolte assoluzioni, nelle comode pacificazioni, nel perdono facile. E ancor meno credo nello sfruttamento della parola Pace, nel ricatto della parola Pace. Quando in nome della pace si cede alla prepotenza, alla violenza, alla tirannia, quando in nome della pace ci si rassegna alla paura, si rinuncia alla dignità e alla libertà, la pace non è più pace. E' suicidio.

Il secondo motivo è che, se giusta come spero e legittima come mi auguro, questa guerra non dovrebbe svolgersi ora. Avrebbe dovuto svolgersi un anno fa. Vale a dire quando le rovine delle Due Torri erano fumanti, e tutto il mondo civile si sentiva americano. Se si fosse svolta allora, oggi i simpatizzanti di Bin Laden e di Saddam Hussein non riempirebbero le piazze col loro pacifismo a senso unico. Le star di Hollywood non si esibirebbero nel ruolo (per loro grottesco) di capi-popolo. E l'ambigua Turchia che sta rimettendo il velo alle donne non rifiuterebbe il passaggio ai Marines diretti al fronte del Nord. Nonostante le cicale europee che insieme ai palestinesi ghignavano «Bene-agli-americani-gli-sta-bene», un anno fa nessuno negava che gli Stati Uniti avessero sofferto una seconda Pearl Harbor e che di conseguenza gli spettasse il diritto di reagire. Meglio: se giusta come spero, legittima come mi auguro, questa è una guerra che avrebbe dovuto svolgersi ancor prima. Cioè quando Clinton era presidente e le piccole Pearl Harbor scoppiavano nel resto del mondo. In Somalia, ad esempio, dove i Marines in missione di pace venivano trucidati e mutilati poi dati in pasto alla folla impazzita. In Kenia, nello Yemen, e via dicendo.

L'11 settembre non è stato che la brutale conferma d'una realtà ormai fossilizzata. L'indiscutibile diagnosi del medico che ti sventola sul naso la radiografia e senza complimenti dice: «Caro signore, cara signora, Lei ha davvero il cancro». Se Clinton avesse speso meno tempo con le ragazze prosperose, se avesse usato in modo più responsabile la Stanza Ovale, forse l'11 settembre non sarebbe avvenuto. È inutile aggiungere che, ancor meno, l'11 settembre sarebbe avvenuto se George Bush Senior avesse eliminato Saddam Hussein con la Guerra del Golfo. Rammenti? Nel 1991 l'esercito iracheno si sgonfiò come un pallone bucato. Si disintegrò così velocemente che perfino io catturai quattro dei suoi soldati. Stavo dietro una duna del deserto saudita, sola sola e indifesa, quando quattro scheletri scalzi e laceri vennero verso di me con le braccia alzate. «Bush!» bisbigliarono in tono supplichevole. «Bush!». Parola che per loro significava: «Ho tanta fame, tanta sete. Fammi prigioniero, per carità». Io li presi, li consegnai al tenente in carica, e invece di congratularsi questo brontolò: «Uffa! ne abbiamo già cinquantamila. Glielo dà lei da mangiare e da bere?». Eppure gli americani non raggiunsero Bagdad. George Bush Senior non lo rimosse, Saddam. («Il-mandato-delle-Nazioni-Unite-era-liberare-il-Kuwait-e-ba sta). E, per ringraziarlo, Saddam tentò di farlo assassinare. Infatti a volte mi chiedo se questa guerra tardiva non sia anche una rappresaglia pazientemente attesa. Una promessa filiale, una vendetta da tragedia shakespeariana anzi greca.

Il terzo motivo è il modo sbagliato in cui l'ipotetica promessa al babbo s'è realizzata. Chi oserebbe confutarlo? Dall'11 settembre agli inizi dello scorso autunno tutta l'enfasi si concentrò su Bin Laden, su Al Qaida, sull'Afghanistan. Saddam Hussein e l'Iraq furono praticamente ignorati. E solo quando diventò chiaro che Bin Laden godeva un'eccellente salute perché l'impegno di prenderlo vivo o morto era fallito, Bush e Powell si ricordarono del suo rivale. Ci dissero che Saddam Hussein era cattivo, che tagliava la lingua e gli orecchi agli avversari, che uccideva i loro bambini dinanzi ai loro occhi. (Vero). Che decapitava le prostitute poi esibiva in piazza le loro teste. (Vero). Che le sue prigioni straripavano di detenuti politici chiusi in celle piccole come bare, che gli esperimenti chimici e biologici li eseguiva con particolare diletto su tali vittime. (Vero). Che aveva legami con Al Qaida e finanziava il terrorismo, premiava le famiglie dei kamikaze palestinesi con 25.000 dollari a famiglia. (Vero). Infine, che non aveva mai rinunciato al suo arsenale di armi letali sicché le Nazioni Unite dovevano rimandare gli ispettori in Iraq.

D'accordo, ma siamo seri: se negli anni Trenta l'inefficiente Lega delle Nazioni avesse mandato i suoi ispettori in Germania, credi che Hitler gli avrebbe mostrato Peenemünde dove Von Braun fabbricava i V1 e i V2 per polverizzare Londra? Credi che gli avrebbe mostrato i campi di Dachau e Mauthausen, di Auschwitz e di Buchenwald? Malgrado ciò, la commedia degli ispettori venne riesumata e con tale intensità che il ruolo di primadonna è passato da Bin Laden a Saddam Hussein. E nemmeno l'arresto di Khalid Muhammed, l'architetto dell'11 settembre, ha sollevato un congruo giubilo. La notizia che Bin Laden sia stato localizzato nel Pakistan Settentrionale e rischi di fare la medesima fine, lo stesso. Una commedia inzuppata di miserie, oltretutto. Di vili doppi giochi anzi complicità da parte degli ispettori. Di strategie sconsiderate da parte di Bush che tenendo il piede in due staffe chiedeva al Consiglio di Sicurezza il permesso di muover guerra e contemporaneamente inviava le truppe ai confini con l'Iraq. In meno di due mesi, un quarto di milione di truppe. Con quelle inglesi e australiane, oltre trecentomila. E questo senza capire che i nemici dell'America (ma dovrei dire dell'Occidente) non stanno solo a Bagdad.

Stanno anche in Europa, signor Bush. Stanno a Parigi dove il mellifluo Chirac se ne frega della pace ma sogna di soddisfare la sua vanità col Prix Nobel de la Paix. Dove nessuno ha voglia di rimuovere Saddam perché Saddam è il petrolio che le compagnie petrolifere francesi pompano dal suo Iraq. E dove, dimenticando il piccolo neo chiamato Pétain, la Francia insegue la napoleonica pretesa di dominare l'Unione Europea. Assumerne l'egemonia. Stanno a Berlino dove il partito del mediocre Schröder ha vinto le elezioni paragonandoLa al loro Hitler. Dove le bandiere americane vengono insozzate con la svastica simbolo della Germania nazista. E dove, nel miraggio di sostener nuovamente la parte dei padroni, i tedeschi vanno a braccetto coi francesi. Stanno a Roma dove i comunisti sono usciti dalla porta per rientrare dalla finestra come gli uccelli dell'omonimo film di Hitchcock. Dove i preti cattolici sono più bolscevichi di loro. E dove affliggendo il prossimo col suo ecumenismo, il suo terzomondismo, il suo fondamentalismo, Karol Wojtyla riceve Aziz come se fosse una colomba col ramoscello d'olivo in bocca o un martire in procinto d'esser divorato dai leoni del Colosseo. (Poi lo manda ad Assisi dove i frati lo scortano fino alla tomba di San Francesco, povero San Francesco). Negli altri paesi europei, idem o giù di lì. Non L'hanno ancora informata i Suoi ambasciatori? In Europa i nemici degli Stati Uniti stanno dappertutto, signor Bush. Ciò che Lei chiama garbatamente «differenze-d'opinione» è odio puro. Un odio simile a quello che l'Unione Sovietica esibiva fino alla Caduta del Muro. Il loro pacifismo è sinonimo di antiamericanismo e, accompagnato da una cupa rinascita di antisemitismo, trionfa quanto in Islam.

Sa perché? Perché l'Europa non è più l'Europa. È diventata una provincia dell'Islam come la Spagna e il Portogallo al tempo dei Mori. Ospita sedici milioni di immigrati musulmani, cioè il triplo di quelli che stanno in America. (E l'America è tre volte più grande dell'Europa). Rigurgita di mullah, di ayatollah, di imam, di moschee, di turbanti, di barbe, di burqa, di chador, e guai a protestare. Nasconde migliaia di terroristi che i nostri governi non riescono né a controllare né ad identificare. Ergo la gente ha paura e sventolando la bandiera del pacifismo, pacifismo-uguale-antiamericanismo, si sente protetta. Quasi ciò non bastasse, l'Europa li ha dimenticati i 221.484 americani morti per lei nella Seconda guerra mondiale... Dei loro cimiteri in Normandia, nelle Ardenne, nei Vosgi, nella vallata del Reno, in Belgio, in Olanda, in Lussemburgo, in Lorena, in Danimarca, in Italia, non gliene importa un bel nulla. Anziché gratitudine l'Europa prova invidia, gelosia, livore e nessuna nazione europea appoggerà questa guerra, signor Bush. Nemmeno quelle veramente alleate come la Spagna o rette da tipi che come Berlusconi La chiamano «il mio amico George».

In Europa lei ha un amico e basta, un alleato e basta: Tony Blair. Però anche Blair regge un Paese invaso dai Mori e verso gli Stati Uniti pieno di invidia, gelosia, livore. Persino il suo partito lo rimbecca, lo osteggia. E a proposito: devo chiederLe scusa, signor Blair. Devo in quanto nel mio libro «La rabbia e l'orgoglio» sono stata ingiusta con lei. Sviata dal suo eccesso di cortesia nei riguardi della cultura islamica ho scritto che era una cicala tra le cicale, che il Suo coraggio non sarebbe durato a lungo, che appena non fosse più servito alla Sua carriera politica lo avrebbe messo da parte. Invece quella carriera politica la sta sacrificando alle proprie convinzioni. Con coerenza impeccabile. Davvero mi scuso e ritiro anche la brutta frase che aggravava l'ingiustizia: «Se la nostra cultura ha lo stesso valore d'una cultura che costringe a portare il burqa, perché passa le vacanze nella mia Toscana e non in Arabia Saudita o in Afghanistan?». E Le dico: «Ci venga quando vuole. La mia Toscana è la Sua Toscana, e la mia casa è la Sua casa. My home is your home».

Il motivo finale del mio dilemma sta nei termini con cui Bush e Blair e i loro consiglieri definiscono questa guerra. «Una guerra di liberazione, una guerra umanitaria per portare la libertà e la democrazia in Iraq». Eh no, cari signori, no. L'umanitarismo non ha niente a che fare con le guerre. Tutte le guerre, anche quelle giuste, anche quelle legittime, sono morte e sfacelo e atrocità e lacrime. E questa non è una guerra di liberazione. (Non è neanche una guerra di petrolio, sia chiaro, come molti sostengono. Contrariamente ai francesi, gli americani non hanno bisogno del petrolio iracheno). È una guerra politica. Una guerra fatta a sangue freddo per rispondere alla Guerra Santa che i nemici dell'Occidente hanno dichiarato l'11 settembre. È una guerra profilattica. Un vaccino come il vaccino contro la poliomelite e il vaiolo, un intervento chirurgico che s'abbatte su Saddam Hussein perché tra i vari focolai di cancro Saddam Hussein appare il più ovvio. Il più evidente, il più pericoloso.

Inoltre Saddam costituisce l'ostacolo, (pensano Bush e Blair e i loro consiglieri), che una volta rimosso gli permetterà di ridisegnare la mappa del Medio Oriente. Insomma far quello che gli inglesi e i francesi fecero dopo il crollo dell'impero ottomano. Ridisegnarla e diffondere una Pax Romana, pardon, una Pax Americana dove regni la Libertà e la Democrazia. Dove nessuno dia più fastidio con gli attentati e le stragi. Dove tutti possano prosperare, vivere felici e contenti. Sciocchezze. La libertà non può essere data in regalo come un pezzo di cioccolata, e la democrazia non può essere imposta con gli eserciti. Come diceva mio padre quando invitava gli antifascisti ad entrare nella Resistenza, e come dico io quando parlo con coloro che credono onestamente nella Pax Americana, la libertà bisogna conquistarcela da soli. La democrazia nasce dalla civiltà, e in entrambi i casi bisogna sapere di cosa si tratta. La Seconda guerra mondiale fu una guerra di liberazione non perché regalò all'Europa i due pezzi di cioccolata cioè due novità chiamate Libertà e Democrazia, ma perché le ristabilì. E le ristabilì perché gli europei le avevano perdute con Hitler e Mussolini. Perché le conoscevano bene, sapevano di che si tratta.

I giapponesi no. Ne convengo. Per i giapponesi i due pezzi di cioccolata furono un regalo che li rimborsava, oltretutto, di Hiroshima e Nagasaki. Però il Giappone aveva già iniziato la sua marcia verso il progresso, e non apparteneva al mondo che ne «La Rabbia e l'Orgoglio» chiamo La Montagna. Una montagna che da 1.400 anni non si muove, non cambia, non emerge dagli abissi della sua cecità. Insomma, l'Islam. I moderni concetti di libertà e di democrazia sono del tutto estranei al tessuto ideologico dell'Islam, del tutto opposti al dispotismo e alla tirannia dei suoi Stati teocratici. In quel tessuto ideologico è Dio che comanda, è Dio che decide il destino degli uomini, e di quel Dio gli uomini non sono figli bensì sudditi, schiavi. Insciallah-Come Dio Vuole-Insciallah. Ergo nel Corano non v'è posto per il libero arbitrio, per la scelta, cioè per la libertà. Non v'è posto per un regime che almeno giuridicamente è basato sull'uguaglianza, sul voto, sul suffragio universale, cioè per la democrazia. Infatti quei due moderni concetti i musulmani non li capiscono. Li rifiutano e invadendoci, conquistandoci, vogliono cancellarli anche dalla nostra vita.

Sorretti dal loro caparbio ottimismo, lo stesso ottimismo con cui a Fort Alamo combatterono con tanto eroismo e finirono tutti massacrati dal generale Santa Ana, gli americani sono certi che a Bagdad verranno accolti come a Roma e a Firenze e a Parigi. «Ci applaudiranno, ci getteranno fiori» mi ha detto tutto contento una testa d'uovo di Washington. Forse. A Bagdad può succedere di tutto. Ma dopo? Che succederà dopo? Oltre due terzi degli iracheni che nelle ultime «elezioni» hanno dato il cento per cento dei voti a Saddam sono sciiti che da sempre vagheggiano di stabilire la Repubblica islamica dell'Iraq. E negli anni Ottanta anche i sovietici vennero accolti bene a Kabul. Anche i sovietici imposero la loro pax con l'esercito. Convinsero addirittura le donne a togliersi il burqa: rammenti? Però dieci anni dopo dovettero andarsene, cedere il passo ai Talebani. Domanda: e se, invece di scoprire la libertà, l'Iraq diventasse un secondo Afghanistan? E se, invece di imparare la democrazia, l'intero Medio Oriente saltasse in aria o il cancro si moltiplicasse? Di paese in paese, con una specie di reazione a catena... Da occidentale fiera della sua civiltà e quindi decisa a difenderla fino all'ultimo fiato, senza riserve dovrei in tal caso unirmi a Bush e a Blair asserragliati dentro una nuova Fort Alamo. Senza riluttanze dovrei in tal caso combattere e morire con loro.
Il che è l'unica cosa sulla quale non ho il minimo dubbio.

Dialogo I - di Giorgio Gaber

Dialogo I

[Voce fuori campo:] Chi sei?
[G:] Mah, non so.
[Voce fuori campo:] Chi sei?
[G:] Sono un non so.
[Voce fuori campo:] L’ironia è un’arma della borghesia. Chi sei?
[G:] Sono… sono uno che scrive.
[Voce fuori campo:] Ah, sei un poeta!
[G:] Beh, chiamami come ti pare.
[Voce fuori campo:] Un poeta rivoluzionario?
[G:] Sì, rivoluzionario.
[Voce fuori campo:] E di cosa parli?
[G:] Parlo dell’uomo, dei suoi rapporti, dell’amore, parlo di un albero…
[Voce fuori campo:] Ah, di un albero, ero lì che ti aspettavo! Ma non lo sai che parlare di un albero in tempo di rivoluzione è come tradire la rivoluzione?
[G:] C’è la rivoluzione?
[Voce fuori campo:] Non fare lo spiritoso! Parlavo dell’impegno, dell’impegno ideologico.
[G:] Questa l’ho già sentita.
[Voce fuori campo:] L’hai già sentita ma non l’hai imparata.
[G:] Non è che non l’ho imparata, è che a me non interessa il cervello che va, va, chissà dove… deve passare di qui, dentro. È l’istinto che mi interessa, lo stomaco!
[Voce fuori campo:] Ah, lo stomaco, ero lì che ti aspettavo!
[G:] Eh ma tu mi aspetti sempre da tutte le parti!
[Voce fuori campo:] Per forza, fai ancora il discorso sui sentimenti, sui dolori… lo so dove vuoi arrivare. Ma credi veramente di servire a qualcosa?
[G:] Mah, non so. Servo a qualcosa? Dite, ditelo voi, servo a qualcosa?… non dicono.
[Voce fuori campo:] Non servi a niente! Sei un poeta borghese. Ti rinchiudi in te, non riesci a tirare fuori un’idea, modificarla, cambiarla.
[G:] Un’idea, modificarla, cambiarla, elaborarla… ci vuole mica tanto! È cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro che è un’altra cosa!

di Pablo Neruda

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza
per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande
sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde
quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà
al raggiungimento
di una
splendida felicità
.

Pablo Neruda

Il paradosso del nostro tempo

Il paradosso del nostro tempo nella storia e' che abbiamo edifici

sempre piu' alti, ma moralita' piu' basse, autostrade sempre
piu' larghe, ma orizzonti piu' ristretti.
Spendiamo di piu', ma abbiamo meno,

comperiamo di piu', ma godiamo meno.
Abbiamo case piu' grandi e famiglie piu' piccole,

piu' comodita', ma meno tempo.
Abbiamo piu' istruzione, ma meno buon senso, piu'
conoscenza, ma meno giudizio, piu' esperti, e ancor piu'
problemi, piu' medicine, ma meno benessere.
Beviamo troppo, fumiamo troppo, spendiamo senza ritegno,
ridiamo troppo poco, guidiamo troppo veloci, ci arrabbiamo
troppo, facciamo le ore piccole, ci alziamo stanchi, vediamo
troppa TV, e preghiamo di rado.
Abbiamo moltiplicato le nostre proprieta',

ma ridotto i nostri valori.
Parliamo troppo, amiamo troppo poco e odiamo troppo spesso.
Abbiamo imparato come guadagnarci da vivere,

ma non come vivere.
Abbiamo aggiunto anni alla vita, ma non vita agli anni.
Siamo andati e tornati dalla Luna, ma non riusciamo ad
attraversare il pianerottolo per incontrare un nuovo vicino di casa.
Abbiamo conquistato lo spazio esterno,

ma non lo spazio interno.
Abbiamo creato cose piu' grandi, ma non migliori.
Abbiamo pulito l'aria, ma inquinato l'anima.
Abbiamo dominato l'atomo, ma non i pregiudizi.
Scriviamo di piu', ma impariamo meno.
Pianifichiamo di piu', ma realizziamo meno.
Abbiamo imparato a sbrigarci, ma non ad aspettare.
Costruiamo computers piu' grandi per contenere piu'
informazioni, per produrre piu' copie che mai, ma
comunichiamo sempre meno.
Questi sono i tempi del fast food e della digestione lenta, grandi
uomini e piccoli caratteri, ricchi profitti e povere relazioni.
Questi sono i tempi di due redditi e piu' divorzi,

case piu' belle ma famiglie distrutte.
Questi sono i tempi dei viaggi veloci, dei pannolini usa e getta,
della moralita' a perdere, delle relazioni di una notte,dei corpi
sovrappeso, e delle pillole che possono farti fare di tutto, dal
rallegrarti al calmarti, all'ucciderti.
E' un tempo in cui ci sono tante cose in vetrina

e niente in magazzino.
Un tempo in cui la tecnologia puo' farti arrivare questa lettera, e
in cui puoi scegliere di condividere queste considerazioni con
altri, o di cancellarle.
Ricordati di spendere del tempo con i tuoi cari ora,

perche' non saranno con te per sempre.
Ricordati di dire una parola gentile a qualcuno che ti guarda dal
basso in soggezione, perche' quella piccola persona presto
crescera', e lascera' il tuo fianco.
Ricordati di dare un caloroso abbraccio alla persona che ti sta a
fianco, perche' e' l'unico tesoro che puoi dare con il cuore,

e non costa nulla.
Ricordati di dire "vi amo" ai tuoi cari, ma soprattutto pensalo.
Un bacio e un abbraccio possono curare ferite che vengono dal
profondo dell'anima.
Ricordati di tenerle le mani e godi di questi momenti, perche'
un giorno quella persona non sara' piu' li'.
Dedica tempo all'amore, dedica tempo alla conversazione, e
dedica tempo per condividere i pensieri preziosi della tua
mente.
E RICORDA SEMPRE: la vita non si misura da quanti respiri
facciamo, ma dai momenti che ci tolgono il respiro.

George Carlin.

Un professore di filosofia....

Un professore di filosofia, in piedi davanti alla sua classe, prese un grosso vasetto
di marmellata vuoto e cominciò a riempirlo con dei sassi, di circa 3 cm. di diametro.
Una volta fatto chiese agli studenti se il contenitore fosse pieno ed essi risposero di
sì.
Allora il Professore tirò fuori una scatola piena di piselli, li versò dentro il vasetto e
lo scosse delicatamente. Ovviamente i piselli si infilarono nei vuoti lasciati tra i vari
sassi.
Ancora una volta il Professore chiese agli studenti se il vasetto fosse pieno ed essi,
ancora una volta, dissero di sì.
Allora il Professore tirò fuori una scatola piena di sabbia e la versò dentro il vasetto.
Ovviamente la sabbia riempì ogni altro spazio vuoto lasciato e coprì tutto.
Ancora una volta il Professore chiese agli studenti se il vasetto fosse pieno e questa
volta essi risposero di sì, senza dubbio alcuno.
Allora il Professore tirò fuori, da sotto la scrivania, 2 lattine di birra e le versò
completamente dentro il vasetto, inzuppando la sabbia. Gli studenti risero.
"Ora," disse il Professore non appena svanirono le risate, "voglio che voi capiate che
questo vasetto rappresenta la vostra vita. I sassi sono le cose importanti - la vostra
famiglia, i vostri amici, la vostra salute, i vostri figli - le cose per le quali se tutto il
resto fosse perso, la vostra vita sarebbe ancora piena.
I piselli sono le altre cose per voi importanti: come il vostro lavoro, la vostra casa,
la vostra auto. La sabbia è tutto il resto......le piccole cose."
"Se mettete dentro il vasetto per prima la sabbia," continuò il Professore "non ci
sarebbe spazio per i piselli e per i sassi.
Lo stesso vale per la vostra vita. Se dedicate tutto il vostro tempo e le vostre
energie alle piccole cose, non avrete spazio per le cose che per voi sono importanti.
Dedicatevi alle cose che vi rendono felici: giocate con i vostri figli, portate il vostro
partner al cinema, uscite con gli amici.
Ci sarà sempre tempo per lavorare, pulire la casa, lavare l'auto. Prendetevi cura dei
sassi per prima - le cose che veramente contano.
Fissate le vostre priorità...il resto è solo sabbia."
Una studentessa allora alzò la mano e chiese al Professore cosa rappresentasse la
birra.
Il Professore sorrise.
"Sono contento che me l'abbia chiesto. Era giusto per dimostrarvi che non importa
quanto piena possa essere la vostra vita, perchè c'è sempre spazio per un paio di
birre.