sabato 24 febbraio 2007

La sconfitta dell'Italia

24 febbraio
La sconfitta dell'Italia
Mercoledı` 21 febbraio 2007
SENATO DELLA REPUBBLICA -XV L E G I S L A T U R A - 112ª e 113ª Seduta Pubblica

Come è solito mio fare, prima di buttar giù due righe, tento di focalizzare l’attenzione su alcuni punti principali argomentando il discorso attorno ad essi cercando di essere il più possibile oggettivo nell’analizzare la cronaca dei nostri giorni. Tuttavia in questo caso, per quanto possa sforzarmi, sembra che l’occhio storico non voglia accompagnarmi per lasciare adito a riflessioni prettamente personali (quasi ovvio dato che si tratta di fatti di cronaca, non ancora catalogabili come storici).
Il 21 Febbraio c.a. si è discusso, in Senato, di politica estera. Massimo d’Alema (Ministro degli affari esteri) apre il dibattito alle ore 9.00… il sentore di una possibile sconfitta già aleggiava in aula, tanto che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva discusso un giorno addietro del bisogno urgente di distiguere la “piazza” dalle “istituzioni”, volendo esprimere la sua preoccupazione nell’osservare che “per quanto legittimi e importanti siano anche i canali del conflitto sociale e delle manifestazioni di massa e di piazza, è fuorviante la tendenza a farne la forma suprema della partecipazione e, retoricamente, il sale della democrazia”, ma come è solito dello spirito italiano, un tale ammonimento non veniva accolto.
Mancando la fiducia al Senato, Romano Prodi si vede “costretto” a rassegnare le dimissioni, il Governo entra ufficialmente in crisi ponendo in fase di stallo l’Italia intera. La destra esulta, la sinistra non ammette i propri sbagli e, come sempre, chi ci va di mezzo sono i cittadini italiani che, avendo espresso con il proprio voto (neppure un anno fa) la propria decisione di eleggere un governo di sinistra, si vedono privati ancora una volta della propria sovranità.
Aprendo il dizionario della lingua italiana alla voce “politica” si evince come l’ ”uomo politico” dovrebbe organizzare e governare uno stato, ma l’occhio invetabilmente cade anche su altre due definizioni, quali quelle di “politicanti” e “politicastri”: i primi senza reale preparazione che tentano di trarne vantaggi personali, i secondi quali uomoni di poco valore.
Allo stato attuale delle cose, purtroppo, è evidente che la politica ha lasciato il posto alle demagogie, aprendo le proprie porte a uomini che di politica sanno ben poco. Si badi bene che queste mie riflessioni si estendono a tutte le forze politiche, siano esse di destra o di sinistra (il centro sembra che non esisti ancora).
Un governo dovrebbe ispirarsi al bene del Popolo, non di singoli individui (sebbene debba comunque tener conto delle minoranza), vegliare su di esso, esserne il portavoce, avere capacità di critica, saper mediare, essere in grado di domare focolari anticostruttivi, anteponendo il bene della nazione alle singole frange di individui. Un’opposizione dovrebbe essere in grado di riconoscere la propria sconfitta e avere la forza di guardare avanti lavorando insieme per il bene comune, non certo spingendo una nazione sull’orlo di una crisi che certamente non giova né ai cittadini o allo stato, tantomeno alla fragile stabilità internazionale.
La destra esulta e parla di vittoria, ma io credo che sia un’ennesima sconfitta, ben pià grande e grave di quanto si possa pensare, la sconfitta dell’Italia.
Stiamo attraversando momenti difficili, è già in atto una profonda crisi economica mettendo in ginocchio migliaia di famiglie, il mondo intero si regge su equilibri tanto fragili che potrebbero cessare di esistere a causa di un fraintendimento, sono necessarie riforme che spronino l’economia, la ricerca, l’innovazione, il lavoro, che rinforzino concetti chiavi di una società quali la famiglia, la convivenza, diritti e doveri dei cittadini; c’è una sanità da riformare, una scuola che non trova pace da anni ormai, un ecosistema che cade letteralmente a pezzi, ma invece di appianare le proprie divergenze cercando di giungere ad un punto in comune per il bene collettivo, il solito egoismo ed egocentrismo mette inesorabilmente a repentaglio una Nazione intera.
L’Italia, da tutto ciò, non può che venirne fuori sconfitta.
Sconfitta perché l’incresciosa e penosa figura con cui ne uscirà la nazione, a livello internazionale, non potrà che ricadere sulle spalle dei singoli cittadini. Sconfitta perché un’instabilità interna non incentiva di certo il commercio, l ‘innovazione o la ricerca. Sconfitta perché, se dovessi pensare come padre di famiglia, non avrei certezza del domani, non potrei pianificare o garantire stabilità ai miei figli, mettendoli nella situazione di non-prospettiva per un futuro certo, ma soprattutto stabile.
Sconfitta acor più dal fatto che, nella prossima legislatura, sia essa di destra o di sinistra, ci ritroveremmo solo ed esclusivamente con gli stessi individui che ci hanno condotto fin’ora a questa precarietà.
Se c’è una cosa che ho capito a livello lavorativo è che ci si assume la responsabilità di un progetto solo se si ha la conoscenza per poterlo realizzare, i mezzi, e se si è in grado di poterlo portare a termine con criterio.
Lo stesso metro di misura dovrebbe essere adottato per i politici. Lasciamo un attimino da parte la retorica, con tutto il suo folclore e la sua bellezza, cerchiamo invece di concentrarci seriamente sul lavoro.
Che i politici facciano i politici, che i commediografi tornino a recitare nelle sedi opportune.

venerdì 23 febbraio 2007

Crisi di governo: dichiarazione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

CRISI DI GOVERNO: DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICAGIORGIO NAPOLITANOPalazzo del Quirinale, 24 febbraio 2007
Ho nei due giorni trascorsi ascoltato con attenzione e rispetto le voci di tutte le formazioni politiche presenti in Parlamento. Agli incontri hanno partecipato anche i leader dei partiti di entrambe le coalizioni confrontatesi nelle elezioni dello scorso 9 aprile.Le consultazioni hanno confermato la particolare complessità e difficoltà della crisi apertasi con le dimissioni del governo presieduto dall'on. Prodi.Tali dimissioni si erano rese necessarie non per obbligo costituzionale ma per dovere di chiarezza politica dopo gli esiti delle votazioni del 1° e del 21 febbraio al Senato, e per le divergenze e tensioni manifestatesi già prima nella maggioranza di governo.Nel corso delle consultazioni tutte le componenti dell'Unione hanno riconosciuto la serietà dei problemi scaturiti sia dall'insufficiente coesione di posizioni e di comportamenti nello schieramento uscito vincente dalle elezioni del 9 aprile, sia dalla ristrettezza del suo margine di maggioranza in Senato. Le delegazioni dei gruppi parlamentari e dei partiti dell'Unione hanno peraltro espresso la convinzione di poter garantire - sulla base dell'accordo di programma e di metodo appena sottoscritto - l'indispensabile unitarietà ed efficacia dell'azione di governo nel prossimo futuro.Nello stesso tempo le ipotesi legittime e motivate di sperimentazione di una diversa e più larga intesa di maggioranza, a sostegno di un governo impegnato ad affrontare le più urgenti scadenze politiche e in particolare la revisione della legge elettorale - ipotesi sostenute da alcuni componenti della Casa delle libertà - non sono risultate sufficientemente condivise per poter essere assunte come base della soluzione della crisi del governo Prodi.Ho ritenuto altresì che non ricorrano le condizioni per un immediato scioglimento delle Camere, sia alla luce di una costante prassi istituzionale sia in considerazione di un giudizio largamente convergente, benché non unanime, sulla necessità prioritaria di una modificazione del sistema elettorale vigente.In queste condizioni, è apparso chiaro che non vi sia allo stato una concreta alternativa a un rinvio - nonostante il parere contrario, nel merito, dei gruppi di opposizione - del governo dimissionario in Parlamento per la verifica, attraverso un voto di fiducia, del sostegno anche in Senato della necessaria maggioranza politica.Tale accertamento potrà essere compiuto in tempi brevissimi, in modo da consentire - in caso di superamento della prova della fiducia - un immediato ristabilimento della normalità dell'azione di governo e dell'attività parlamentare.Se si guarda ai delicati impegni europei e internazionali dell'Italia e a pressanti esigenze di intervento e di riforma in campo economico, sociale e istituzionale, si deve esprimere la preoccupazione e l'auspicio che il paese possa essere stabilmente e credibilmente governato, in un confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione e attraverso un corretto rapporto tra governo e Parlamento

sabato 3 febbraio 2007

Lettera degli ambasciatori alleati - Appello da sei Paesi impegnati con noi nella missione Onu

GLI ambasciatori degli Stati Uniti, del Regno Unito, del Canada, dell'Australia, dei Paesi Bassi e della Romania hanno inviato a Repubblica questo testo.

IL 26 GENNAIO scorso, a Bruxelles, i ministri degli Esteri della Nato hanno ribadito il loro impegno a sostenere il governo e il popolo afgano. In qualità di ambasciatori di paesi che operano in Afghanistan d'intesa e in alleanza con l'Italia, desideriamo sottolineare i nostri sforzi collettivi per garantire la sicurezza e promuovere la ricostruzione e lo sviluppo civile di quel Paese. Il livello dell'impegno e del coordinamento internazionale realizzato in Afghanistan è la testimonianza della forza e dell'integrità delle Nazioni Unite e della Nato, e del contributo e degli sforzi dei loro paesi membri. I nostri paesi apprezzano la solidale partecipazione dell'Italia nella missione internazionale in Afghanistan. Siamo tra gli oltre 60 paesi che operano per la ricostruzione, sotto l'egida della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama).

Un anno fa, a Londra, il governo afghano e la comunità internazionale hanno lanciato il programma Afghanistan Compact, una strategia a tutto campo della durata di 5 anni e con parametri per la sicurezza, la governance e lo sviluppo. E' questo Compact che guida il nostro impegno collettivo.

Lavorando con l'Italia in sede Onu, nell'Unione Europea e nella Nato, abbiamo costruito una missione comune in Afghanistan, fondata sul consenso globale, su un'ampia legittimità multilaterale e sul principio che gli Afghani gestiscano il processo di stabilizzazione e di ricostruzione.


Il popolo afghano, che sta uscendo da decenni di tirannia e di guerra civile, sostiene la presenza internazionale nel proprio paese e ha potuto esprimere il proprio consenso in modo democratico. In seguito alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che hanno richiesto la presenza dell'Onu, avviato un processo democratico ed autorizzato una forza di stabilizzazione, gli Afghani hanno redatto ed approvato una Costituzione, hanno eletto un Presidente nel 2004 e un Parlamento nel 2005. Insieme ad altri paesi, l'Italia ha inviato, per un periodo temporaneo, truppe aggiuntive per proteggere i votanti durante entrambe le tornate elettorali e continua ad offrire un valido contributo all'Isaf, la Forza Internazionale di Assistenza alla Sicurezza guidata dalla Nato.

E' importante sottolineare che, con l'aiuto dell'Italia, la comunità internazionale ha potuto avviare un processo di stabilizzazione e di ricostruzione che ha migliorato le condizioni di vita di milioni di Afghani. I passi in avanti sono innegabili. Per la prima volta da decenni, gli Afghani possono realisticamente aspettarsi un governo rappresentativo, un futuro economico migliore, servizi sanitari più efficenti e un sistema di istruzione aperto sia agli uomini che alle donne.
Tuttavia, il momento è ancora critico. Il governo è giovane e resta fragile. L'Afghanistan deve ancora dotarsi di istituzioni efficienti nel campo della giustizia, delle forze di polizia e delle forze armate nazionali. La corruzione ed il traffico di oppio sono una minaccia per questa nuova democrazia. Come hanno affermato i leader italiani e di altri paesi del mondo, dobbiamo aumentare il nostro contributo per la ricostruzione e lo sviluppo civile.

La posta in gioco è alta. La comunità internazionale non deve esitare nella ferma e comune volontà di aiutare il governo afghano a garantire condizioni di sicurezza tali da permettere ulteriori progressi.
Forze residue di talebani tentano di cancellare i progressi che l'Afghanistan ha ottenuto. Sono gli stessi estremisti che, prima del 2002, avevano imposto un'efferata tirannia totalitaria, proibito alle donne di andare a scuola e di partecipare alla vita pubblica e ospitato una base operativa di Al-Qaida. Non si avvalgono del dialogo democratico o di una dialettica pacifica per portare avanti le loro istanze volte a far regredire l'Afghanistan, ma si servono di terroristi suicidi, lanciano campagne intimidatorie e uccidono riformatori e insegnanti. Gruppi di estremisti islamici finanziano i loro sforzi.

Dobbiamo stare uniti. Dobbiamo condividere tutti la responsabilità di sostenere la sicurezza in Afghanistan. Garantire condizioni di sicurezza è essenziale per vincere la prossima sfida fondamentale: quella di raddoppiare gli sforzi a favore dello sviluppo civile ed economico. Sia il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema che il Segretario Generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, riconoscendo che lo sviluppo civile ed economico rappresenta la soluzione di lungo termine alla minaccia talebana, hanno invocato una strategia a tutto campo per intensificare l'assistenza alla ricostruzione.

Questo è proprio il nostro obiettivo comune. Nel 2007 i donatori internazionali aumenteranno e daranno un forte impulso all'assistenza per la ricostruzione, in particolar modo per la costruzione di strade, l'addestramento delle forze di sicurezza e la lotta al narcotraffico. Plaudiamo agli sforzi dell'Italia per promuovere un maggior coordinamento nella riforma del sistema giudiziario dell'Afghanistan, ospitando in primavera, insieme all'Onu e al governo afghano, una conferenza internazionale a Roma.

Come hanno dichiarato i nostri paesi nel comunicato del Vertice della Nato a Riga nel 2006, "in Afghanistan non può esserci sicurezza senza sviluppo, né sviluppo senza sicurezza". Siamo a fianco dell'Italia nel perseguire questi obiettivi complementari tra loro. Insieme, nel 2007, potremo dare un contributo determinante per la pace, il progresso e la sicurezza in Afghanistan.

Edward Chaplin
ambasciatore del Regno Unito
Cristian Valentin Colteanu
ambasciatore di Romania
Alex Himelfarb
ambasciatore del Canada
Egbert Jacobs
ambasciatore del Regno dei Paesi Bassi
Ronald P. Spogli
ambasciatore degli Stati Uniti d'America
Peter Woolcott
ambasciatore d'Australia

(3 febbraio 2007)